Tutte storie!IntervisteQuattro chiacchiere con Elli De Mon autrice di Countin’ the Blues

Quattro chiacchiere con Elli De Mon autrice di Countin’ the Blues

1. Ciao Elli, ci racconti un po’ di te?

Ciao! Io sono Elisa, in arte Elli de Mon, che è una storpiatura del mio nome originale (De Munari) e contemporaneamente un omaggio ai personaggi malefici come Crudelia Demon. I demoni mi stanno simpatici. Scavano dentro di te e ti spingono a tirare fuori le tue parti più nascoste, quelle più paurose. E ti obbligano a farci qualcosa di buono. Nella vita sono principalmente una musicista, suono e insegno musica. La scrittura è un hobby.

2. Com’è nata la tua passione per la musica?

La passione è nata da bambina. A 6 anni babbo natale mi regalò una tastierina, che divenne il mio gioco preferito. Poi negli anni la musica è diventata il mio rifugio. Ho superato i brufoli e la paranoia dellìadolescenza grazie al punk, allo stoner, al rock in generale. Non sarei sopravvissuta senza, ne sono sicura. Quindi la musica è diventato il mio canale preferenziale per esprimere le cose più importanti che ho da dire.

3. Che cosa ascolti di più in quest’ultimo periodo?

Domanda da un milione di dollari. Sono molto umorale, dipende da come mi alzo la mattina. Posso passare da Sostakovich, a Mingus, ai Nikhil banerjee, ai Fugazi,a Bessie Smith. Ecco ultimamente un nome che ritorna tra i miei ascolti è quello degli Idles. E naturalmente Alice Coltrane.

4. Ti volevo chiedere come sei arrivata a scrivere “Countin’ the blues”

Il blues è una costante da molti anni. Sia perché sono una contrabbassista e quindi l’ho incontrato spesso nel mio repertorio, sia perché lo sento molto vicino a livello spirituale. Il blues mi ha spinto ad affrontare tutti i miei demoni, o quasi. E questo mio percorso lo devo soprattutto alle prime donne del blues. Le loro opere mi hanno ispirato moltissimo e leggere delle loro vite è stato folgorante. Mi sono sempre stupita di aver trovato pochissimo materiale in italiano che parlasse di loro. Ecco allora l’idea del libro.

5. Ci racconti di cosa parla?

Il libro parla delle donne del blues degli anni 20, dì schiavitù, di come loro siano riuscite ad usare il proprio corpo e la propria musica per emanciparsi. Conoscevo dei pezzi di artiste che mi piacevano tantissimo e mi sembrava assurdo che non fossero mai citate nei libri che parlavano di blues. Le artiste degli anni 20 vengono dipinte solamente come un fenomeno commerciale manovrato principalmente dai bianchi, ma leggendo i loro testi si capisce che c’era molto di più dietro. Inoltre con questo libro è emersa l’esigenza forte di dare voce a un mondo sommerso che doveva ritornare a galla: quello di una collettività fatta di donne e musiciste che ogni giorno, proprio come le artiste del blues degli anni 20, combattono a denti stretti per portare avanti le proprie passioni e il loro modo di stare al mondo. Da qui l’idea di coinvolgere altre musiciste soprattutto underground, per fare vedere quanto i temi che toccarono le donne del blues siano molto attuali. Credo di aver scritto un libro a suo modo politico, perché le voci che lo compongono assumono delle posizioni nette nei confronti della realtà. Ed è politico anche perché si schiera contro ogni forma di emarginazione, sia essa dovuta al colore della pelle, alla tua scelta sessuale o alla tua visione del mondo.È strutturato in questo modo: ogni capitolo prende il via da una canzone che presenta un tema e racconta, attraverso il testo, la storia della comunità afroamericana e dell’artista che la cantava. E poi la parola passa ad una musicista contemporanea che parla di quello stesso argomento e della sua esperienza.

6. Cosa pensi della situazione attuale delle donne?

Credo ci sia ancora molta strada da fare. Potrei scrivere un papiro a riguardo, tutto si potrebbe riassumere dicendo: non ci sarà mai una società equilibrata finchè il punto di partenza per raggiungere una posizione lavorativa, sociale, artistica per un uomo e una donna non sarà lo stesso. Le donne, per questioni culturali, partono spesso svantaggiate. E quindi devono faticare molto di più.

7. Cosa pensi invece del futuro delle donne nella società?

Il futuro dipende molto da noi. Noi donne dobbiamo prendere in mano le redini del nostro stare al mondo. Non possiamo continuare a tramandare modelli culturali sbagliati. Dobbiamo essere noi a scendere in prima linea a combattere, a cambiare le carte in tavola, perché nessun altro lo farà al posto nostro.

8. Nel tuo libro affronti un sacco di temi come la violenza, la libertà, l’omosessualità, laresilienza ecc. Qual’è l’argomento che ti ha più fatto riflettere sulla situazione attuale?

In realtà tutti i temi mi hanno fatto capire che, nei fatti, quello per cui combattevano 100 anni fa le donne del blues vale ancora oggi più che mai. Un argomento che mi ha toccato particolarmente è stato quello della maternità, che ha scoperchiato un vaso di pandora. La maternità, in Italia, checchesenedica è una scelta difficile da portare avanti per molte di noi, soprattutto per chi non può godere di alcuni diritti base. Ad esempio è scandaloso che per molte, me compresa, non sia possibile percepire la maternità dal lavoro.

9. Domanda cattivissima, che cosa significa per te la musica Blues?

Non mi sono mai soffermata troppo a dare dei confini alla parola blues. Anche nel libro tento di far capire che il blues è un atteggiamento nei confronti della vita. Per questo non mi piace quando viene troppo ghettizzato ad una determinata forma e genere. Discuterne troppo in maniera accademica è fuorviante. Anche io non suono propriamente blues, semplicemente lavoro con quel tipo di sensazioni. Perché le sue radici si trovano in posti diseredati, è un ronzio, è quel vecchio ipnotismo ritmico al valico tra magia e realismo. Per questo non potrà mai morire, cambierà sempre pelle e rinascerà…e per lo stesso motivo per me sono blues cose anche molto diverse: Lydia Lunch, Chelsea Wolfe, Adia Victoria, Missy Elliott. Il blues è inoltre una musica politica. Perché attraverso la ricerca e la disperata riconquista delle proprie radici da parte del popolo afroamericano, vieni messo di fronte alla storia. E interrogarsi sulle propria identità è inevitabile.

10. Altra domanda cattivissima, qual è la tua Donna del Blues preferita (se c’è)

Citarne sola una è impossibile. Sicuramente Geeshie Wiley, di cui si trova pochissimo.. ma quello che si può ascoltare è stupefacente, i suoi pezzi sanno di fango, palude, vita vissuta, polvere. Bellissimi. Poi Victoria Spivey, un’antesignana in fatto di gotico sudista. Canzoni decadenti, macabre, che hanno preceduto il cammino di artisti come PJ Harvey o Nick Cave. E poi sicuramente Ma Rainey, una con un fegato e un coraggio incredibili, che ha veramente sfidato molte convenzioni del tempo e non si è mai tirata indietro. Un esempio per tutte.

11. Elli, cosa bolle in pentola: i tuoi progetti futuri?

Il prossimo anno uscirà il disco legato a Countin’ the blues, dove reinterpreto a modo mio le canzoni di cui parlo nel libro. Poi ho altri progetti in sospeso che riguardano sia la musica che la scrittura, ma non ne parlo per scaramanzia…

12. Sappiamo inoltre che suoni oltre ad essere una bravissima scrittice, ci parli dei tuoi progetti musicali?

Il mio progetto principale si chiama Elli de Mon, sono una onewomanband (ossia suono contemporaneamente chitarra, batteria e canto) che gira per il mondo spesso da sola. Poi ho un trio femminile, le Kalahysteri, dove ci divertiamo a scrivere e suonare pezzi di ispirazione country punk con strumenti acustici e appalacchiani (cucchiai, mestoli, ossa di maiale…)Infine ho un quartetto jazz che esegue un repertorio legato agli anni 20, 30 e al ragtime. Ah io in questi due progetti sono la contrabbassista/cantante.



Prefazione di GIANLUCA DIANA. Durante l’inizio del Ventesimo secolo, una potente tradizione di artiste afroamericane aiutò le donne a trovare la loro voce e a farsi sentire: le donne del blues.