
Intervista a Enrico Del Gamba regista del Documentario “ Sulla Strada per Kobane ”
Ciao Enrico, ti chiedo per i nostri lettori di raccontarci qualcosa di te
Mi chiamo Enrico Del Gamba, classe 88 e sono un film-maker ma prima di tutto mi reputo un viaggiatore. Nato e cresciuto a Livorno, città di mare dove vivo e alla quale rimango legato in maniera profonda. Quando ero piccolo è stata mia madre ad iniziarmi alla fotografi a, devo a lei la mia passione per il video e la fotografi a.
All’età di 22 anni ho cominciato a viaggiare da solo trovandomi in situazioni sempre più particolari che stimolavano la mia voglia di scoprire ogni cosa nuova;
mettermi alla prova entrando in contatto con realtà diverse era diventata per me una forma di libertà estrema
mettermi alla prova entrando in contatto con realtà diverse era diventata per me una forma di libertà estrema. Unire la passione per il viaggio a quella per le riprese è stato naturale.
In seguito ho seguito un corso di specializzazione in Alta Formazione in Cinema e Documentario sperimentale presso il Distretto del Cinema di Parma che mi ha dato le basi sulle quali costruire la mia carriera lavorativa. Ho iniziato a lavorare come cameraman freelance per documentari quali Lindsay Kemp’s Last Dance (regia di Nendie Pinto Dukcunsky), Mega-Naufragi (Discovery Channel), The Shadows of Vulcanoes (Milstrem Films). Oggi dirigo un’azienda di Social Media e video produzioni che si chiama Orange Tape e produco progetti indipendenti.
So che hai fatto vari video-reportage durante i tuoi viaggi in Siria negli scorsi anni. Volevo chiederti quando è nata l’idea di fare un documentario sulla situazione curda?
I reportage sono frutto di diverse spedizioni umanitarie svolte in Turchia, Siria ed Iraq alle quali ho partecipato come volontario tra il 2015 e il 2019 per conto dell’associazione umanitaria Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia ETS; in questo periodo ho stretto un profondo legame con la famiglia di Sabah, una ragazza curdo-siriana, incontrata nel 2015 e della quale ho voluto raccontare la storia.
L’idea di realizzare un documentario però è maturata solo dopo essere rientrato in Italia dalla prima missione.
Il mio compito durante la spedizione era quello di filmare le azioni umanitarie dell’associazione, per mostrare come venivano impiegate le donazioni .
Quello che è successo dopo non potevo immaginarlo, l’esperienza che ho vissuto mi aveva cambiato.
Quello che è successo dopo non potevo immaginarlo, l’esperienza che ho vissuto mi aveva cambiato.
Rientrato in Italia mi sono reso conto di avere tanto materiale, che in un primo momento ho impiegato per creare video di sensibilizzazione sulla questione curda; col passare degli anni, spinto dall’entusiasmo delle persone che mi stavano accanto, ho sentito l’esigenza di raccontare l’esperienza che avevo vissuto con l’intento di mostrare la realtà del popolo curdo a chi come me non la conosceva.

Di che cosa parla “Sulla strada per Kobane”?
“Sulla strada per Kobane” racconta la diaspora del popolo curdo durante i primi anni della guerra civile siriana intrecciando la sua storia con la vita di Sabah, una ragazza curdo-siriana, che viveva insieme alla famiglia in clandestinità nella piccola città turca di Suruc. Sabah ci racconterà di come la sua famiglia, fuggita dalla città di Kobane durante
l’invasione dell’ISIS abbia perso i contatti col fratello rimasto là con l’intenzione di difendere la città e con la speranza di poterla un giorno ricostruire.
L’incontro con la ragazza e la sua storia sarà il punto di partenza per un’esperienza incredibile. Insieme a Giacomo – fotoreporter conosciuto durante la spedizione umanitaria, divenuto ottimo amico e compagno di viaggio – attraverseremo il confine turco-siriano verso Kobane, la città simbolo della resistenza contro lo Stato Islamico, alla ricerca del fratello di Sabah.
Chi sono i protagonisti del film?
Le protagoniste del film sono Sabah e Fatma le due sorelle con le quali ho stretto un bellissimo rapporto e con le quali sono rimasto in contatto in tutti questi anni. Altra protagonista è proprio la città di Kobane che nel documentario viene mostrata durante l’arco di 5 anni, dalla sua distruzione durante i feroci scontri tra i suoi abitanti e Daesh, i terroristi dell’ISIS, fino alla sua ricostruzione. Durante il documentario si raccontano anche le storie delle molte persone incontrate lungo il cammino e che hanno affrontato la guerra e le sue conseguenze.
Che cos’è che più di tutto ti ha spinto a fare questo documentario?
Il mio impegno è sempre stato rivolto al lato umanitario della causa. E’ questo che mi ha spinto a partire, è questo che mi ha spinto a realizzare questo documentario.
Vi era poi la necessità di rendere cosciente l’opinione pubblica sulla resistenza solitaria che il popolo curdo stava portando avanti in Rojava, Nord-Est della Siria, che in quegli anni era attaccata a Sud dall’ISIS che avanzava inesorabilmente e a Nord veniva minacciata dalla politica espansionistica Turca; una tragedia che si stava consumando nel silenzio della comunità internazionale e che adesso è tornato nel dimenticatoio, nonostante l’invasione della Turchia nel territorio curdo si sia fatta concreta con conseguenze devastanti.
Qual è stato il momento più difficile durante le riprese? E quello più difficile durante il montaggio?
Al di là delle difficoltà oggettive del riprendere in zone di guerra, dove è fondamentale munirsi di guide affidabili ed imparare a muoversi seguendo le regole dettate dalla cultura e dalle usanze del posto, realizzare un’opera audiovisiva del genere non è stato semplice, in quanto comporta il lavoro e l’organizzazione di tante persone, dalle musiche per le quali ringrazio Roberto Luti e Eleonour Forniau con i quali abbiamo sviluppato una colonna sonora di cui vado molto fiero, alle grafiche, le interviste, il montaggio, il sound design, la color correction e l’organizzazione dei vari viaggi.
La mia fortuna è stata quella di essere accompagnato da Giacomo Sini durante la prima missione umanitaria. Giacomo è un fotoreporter esperto in Medio Oriente, è stato un ottimo maestro e mi ha insegnato le basi per potermi muovere in quei luoghi meravigliosi e così diversi dal nostro quotidiano. Ci tengo a ringraziare anche Amerigo
P. Neri (Ame Pix), un caro amico e film-maker sardo col quale abbiamo passato diverse notti in bianco per terminare il montaggio.
Il momento più difficile però l’ho vissuto la notte del 9 Ottobre 2019: ero rientrato da circa un mese in Italia dall’ultima spedizione e mi trovavo nella mia camera, quando nel cuore della notte ho ricevuto un messaggio da Fatma, la sorella di Sabah, che mi informava che la Turchia aveva invaso il territorio siriano e stava bombardando le città curde. In quel momento ho temuto il peggio per la loro vita e per il progetto sociale di integrazione e sviluppo che il popolo curdo stava portando avanti dopo aver liberato i suoi territori dallo Stato Islamico.

In fase di montaggio, che cosa hai ritenuto fosse assolutamente giusto far vedere al pubblico?
Volevo che il pubblico venisse catapultato in questa storia così come lo sono stato io durante il viaggio; ho scelto di mostrare i volti e le situazioni che incontravamo lungo il cammino senza retoriche di geopolitica, ma dando voce a chi la guerra la subisce.
Che cosa ne pensi di temi come la pornografia del dolore, la raffigurazione strumentale del dolore; lo spettacolo nel dolore ed infine all’ eccesso patemico nel racconto?
Trovo che la spettacolarizzazione della sofferenza umana sia nociva, controproducente, e scorretta nei confronti di chi soffre.
Specialmente oggi che ne siamo bombardati e di conseguenza ne siamo assuefatti.
Si può mostrare il dolore in molti modi, personalmente cerco di raccontare la vita dei miei soggetti non il loro dolore, che inevitabilmente traspare nel momento in cui si entra in empatia con loro, solo così è possibile comprenderlo a fondo.
Esasperare il dolore raffigurandolo in maniera strumentale ha il solo risultato di allontanare le persone rendendole insensibili o insofferenti, portandole ad avere il bisogno di distrarsi con qualcosa di “meno pesante”.
Torniamo a “Sulla strada per Kobane”, che cos’è che ti ha più colpito della quotidianità curda e che emozioni hai provato?
Quel che più colpisce in Rojava sono i rapporti sociali che la comunità ha creato per convivere gli uni con gli altri e che in molti casi ho trovato più avanzati dei modelli sociali ai quali sono abituato qui in Occidente.
Una delle pratiche più diffuse tra i combattenti curdi, ma non solo, a cui sono stato introdotto durante l’ultimo viaggio è stata quella del Tekmîl che esprime il concetto di Critica Costruttiva, pratica basata sulla fratellanza e sulla fiducia che permea ogni aspetto della vita dei combattenti curdi. Lavorare insieme, aiutandosi l’un l’altro,
condividendo tutto dal tangibile all’intangibile, non perché ci si aspetti qualcosa in cambio ma semplicemente perché siamo esseri umani che vivono, lottano e attraversano la vita insieme, che condividiamo lo stesso scopo di cercare di far progredire il benessere collettivo.
Un modo di pensare difficilmente conciliabile con i nostri costrutti sociali che inibiscono la nostra capacità di esprimere le nostre prospettive, ascoltare quelle degli altri e impegnarci in discussioni significative e costruttive.
Con questo spirito di fratellanza le combattenti e i combattenti curdi si riunivano per condividere le proprie idee, progetti, critiche e autocritiche senza la paura del conflitto che così spesso può impedire ad una persona di esprimersi, senza la paura di essere attaccati ma con l’idea di potersi fidare e credere l’uno nell’altro senza temere altre intenzioni.
Provate ad immaginare un concetto del genere applicato alle nostre scuole così spesso colpite da episodi di bullismo o alla nostra politica, che mira solo a screditare l’oppositore di turno.
Qual è stata la vera sfida nel raccontare questa storia?
Raccontare una storia personale, per chi come me è abituato ad osservare il mondo da dietro una telecamera è stata forse la sfida più dura, specialmente quando rientrato in Italia mi sono scontrato con chi non capisce l’importanza di mantenere attiva l’informazione su questi luoghi. Ma sono felice di averlo fatto e di aver contribuito in qualche modo a far conoscere la storia del popolo curdo.


Ci puoi spiegare cos’è l’Associazione Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia Onlus e che cosa fa in termini pratici?
La Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia è un’associazione senza scopo di lucro, nata come diramazione italiana dell’associazione Heyva Sor a Kurdistanê, la più grande organizzazione umanitaria per il Kurdistan, attiva in Germania dal 1993. La sede italiana nasce a Livorno da un gruppo di cittadini e cittadine curdi e italiani con lo scopo di organizzare iniziative di sensibilizzazione e raccolte di fondi per la campagna internazionale di solidarietà con il popolo curdo. Tra le varie iniziative umanitarie che stanno portando avanti vi è stata la messa in operatività di un ospedale nella città di Tell Temir, struttura che inseguito all’attacco della Turchia avvenuto il 9 Ottobre del 2019 ha potuto soccorrere e prestare cure ai civili colpiti dai bombardamenti e che ha svolto un ruolo importante per la popolazione anche durante gli attacchi dello Stato Islamico, ma vi sono molte campagne portate avanti che mirano a dare aiuto alle popolazioni colpite specialmente in questo periodo di pandemia dove come potete immaginare le strutture sanitarie sono poche e mal equipaggiate.
Invito chi è interessato a visitare il sito www.mezzalunarossakurdistan.org o la pagina F.B. per conoscere le iniziative che porta avanti.
Quando, come e dove si può vedere il film?
Il fi lm è disponibile on demand al costo di 6€ al seguente link in lingua italiana: https:// vimeo.com/ondemand/sullastradaperkobane e presto sarà disponibile anche in lingua inglese.
Ci tengo a sottolineare che il 50% del ricavato verrà devoluto all’associazione Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia ETS in favore delle popolazioni colpite della guerra nel Nord-Est della Siria.
Grazie di cuore
Grazie a te per avermi dato quest’occasione!
- link pagina Facebook: https://www.facebook.com/sullastradaperkobane/
- link trailer Youtube: https://youtu.be/JlCyX9Io2pE