
Intervista a Filippo Vendemmiati per «Gli anni che cantano»
Innanzitutto la volevo ringraziare per averci dato la possibilità di intervistarla. Le chiedo subito com’è partita l’idea di realizzare “Gli anni che cantano” presentato in anteprima mondiale per la sezione Art and Music del Biografilm Festival?
Ho letto il libro “Gli anni che cantano” di Janna Carioli, fondatrice e leader del gruppo musicale Il Canzoniere delle Lame. Mi hanno colpito la storia del gruppo e il contesto storico-musicale nel quale ha svolto la sua attività che abbraccia anni molti intensi e appassionanti dalla fine degli anni sessanta a inizio ottanta. Ho letto il libro quasi come uno spartito musicale, abbinando alla lettura l’ascolto di decine di brani musicali, del Canzoniere e di molti altri gruppi. Da lì è nata l’idea di un musical on the road, una storia di musica, impegno politico e amicizie che gli anni successivi hanno reso solo più durature e profonde.
Vogliamo ricordare ai nostri lettori che questo non è il suo documentario d’esordio, tra i vari lungometraggi nel 2011 oltre ad altri premi ha vinto il David di Donatello come miglior documentario con “È stato morto un ragazzo”. Un film a sfondo biografico e sociale che parla del caso Aldrovandi. Ci vuole raccontare com’è stata quell’esperienza?
“È stato morto un ragazzo” nacque come il bisogno-dovere della mia attività giornalistica. Per conto della Rai seguii quasi fin dall’inizio tutta la vicenda e poi assistetti a tutte le udienze del processo di primo grado che sancì la prima condanna, poi definitiva anche in appello e cassazione, dei quattro agenti che causarono la morte di Federico, un ragazzo che aveva appena compiuto 18 anni. Mi resi conto che il valore simbolico e civile di quella tragedia doveva essere raccontata in modo completo, attraverso una narrazione che non poteva essere costretta nei formati mordi e fuggi di poco più di un minuto dei servizi radio- televisivi. Così mi lanciai in un’avventura in solitaria accompagnato da pochi amici per realizzare con modi e mezzi “amatoriali” un film di 90 minuti anche con il solo obiettivo di regalare una testimonianza di verità e memoria ai genitori del ragazzo. Il film piacque, trovai un editore, fu selezionato alle Giornate degli autori – Mostra del Cinema di Venezia e volò da solo tra festival, premi e proiezioni auto-organizzate da gruppi e associazioni.
Il “Canzoniere delle Lame” è un gruppo bolognese di musica politica e impegno sociale, fondato da Janna Carioli e Gianfranco Ginestri nel 1967, perché ha deciso di voler raccontare la loro storia?
È la rivincita di un musicista stonato che per pigrizia nonostante la passione musicale non ha mai imparato a suonare uno strumento. Un giorno salì a bordo di un pullmino insieme ad un gruppo di musicisti e con la scusa di farsi raccontare la loro storia e di ascoltare le loro canzoni fuori tempo massimo si sentì parte del gruppo. Non era come salire sul palco e cantare, ma il viaggio è stato ugualmente appassionante. Alla fine gli hanno consegnato il titolo di Canzoniere ad Honorem.
Da metà degli anni ’60 a circa gli anni ’80, è stato un periodo di grande impegno sociale e politico in Italia, ma anche nel mondo, secondo Lei, la canzone di protesta era vista come uno strumento di lotta?
Per molti, certamente per il Canzoniere delle Lame, la musica era uno strumento di lotta politica. Passione politica e musicale erano strettamente legate. C’era il sogno di poter cambiare il mondo. Si è detto che il risveglio è stato brusco, l’illusione è durata poco. Io non credo che sia stato proprio così. Quella musica in qualche modo il mondo un po’ l’ha migliorato, anche se non ce ne siamo accorti. Nella peggiore delle ipotesi ci ha aiutati a sopportare meglio un mondo che continua a piacerci poco.
E quindi parlare del Canzoniere delle Lame non è solo parlar di musica?
Mi è parso subito chiaro dopo aver letto il libro a cui il film si ispira, ma ancora di più dopo aver conosciuto alcuni dei componenti del gruppo, di come con la musica in quasi 50 anni si sia sviluppata un sodalizio umano profondo fatto di amori ma soprattutto di amicizie indissolubili. Forse l’impegno politico si è attenuato, o meglio ho trovato forme diverse, ma il rapporto umano e la condivisione di mezzo secolo di vita sono una rivoluzione bellissima.
Il documentario racconta del viaggio intrapreso dagli ex componenti del Canzoniere a bordo di un furgoncino (non a caso rosso) traghettati in giro da Jack (membro della band “Le altre di B.”). Loro si raccontano attraverso questo viaggio, e lo spunto che ho trovato interessante è il confronto con la scena musicale odierna attraverso Jack. É stato difficile mettere insieme due mondi così apparentemente diversi?
Era una scommessa e spero sia stata vinta. Dai primi contatti e dalle prime reciproche curiosità ho iniziato a capire che le musiche sono molto diverse, ma che i modi di concepire il gruppo, di stare insieme sul pullmino, di vivere il concerto o la sala prove sono sempre gli stessi ed è stato come ritrovarsi e mettere in relazione un comune sentire, nonostante un contesto sociale e musicale tanto diverso.
Durante le riprese ha avuto modo di conoscere più da vicino i protagonisti del film, ci vuole raccontare qualche aneddoto o qualche curioso particolare?
Ogni gruppo ha proprie dinamiche interne che vanno rispettate e che sono il segreto della sua vitalità. Janna Carioli, fondatrice del gruppo e autrice dei testi di molte canzoni, oggi affermata scrittrice per l’infanzia, era e resta la leader del gruppo. Lo è stata anche sul set. Le sue forme gentili ma dirette di intervento sulle richieste del regista sono state una prova d’orchestra che ci ha permesso di superare le mille difficoltà produttive, legate essenzialmente al tempo di ripresa limitato, all’impossibilità di fare prove, alla difficoltà di girare alcune scene con 15-20 attori non professionisti che interpretavano se stessi. All’inizio in particolare prima della stesura definitiva della sceneggiatura ci siamo dovuti guadagnare la fiducia reciproca, poi ci siamo messi tutti in gioco accettando la sfida del film.
In questo film lei utilizza il materiale d’archivio (molto bello – per il nostro piccolissimo parere) con pellicole Super 8, fotografie, documenti, manifesti e locandine. Com’è stato lavorare con così tanto materiale diverso?
È stato lungo ed affascinante. Tutto il materiale appartiene alla Biblioteca del quartiere Lame di Bologna ed è stato donato da Gianfranco Ginestri, altro fondatore del gruppo. Ho trascorso lunghe giornate a consultare rassegne stampa, fotografie, ad ascoltare nastri registrati, musicassette e dischi. Solo una piccola parte del materiale è stato inserito nel film, ma tutto lo ha ispirato e poeticamente ne fa parte.
La volevo ringraziare personalmente, perchè credo che film come questi siano davvero importanti, per la mia generazione (ma anche per le prossime) perchè ci da la possibilità di vedere con i nostri occhi com’era la situazione in Italia qualche decennio fa, com’erano davvero i nostri genitori quand’erano ragazzini. La situazione attuale secondo me non è cambiata poi così tanto. Nel suo film si parla di Angela Davis, e del Vietnam. Qualche settimana fa anche nelle piazze italiane, i ragazzi hanno manifestato contro il razzismo, dopo l’uccisione di George Floyd. Che cosa ne pensa?
La musica, il cinema, ma direi in generale ogni forma d’arte, in vicende come questa riscoprono una funzione sociale di risveglio e di stimolo alle coscienze e ai valori di civiltà e di dignità umana che troppo sbrigativamente a volte si dà per esaurita. Le circostanze nella quali è stato ucciso George Floyd, la compressione per schiacciamento del torace, rievocano molto da vicino quelle in cui perse la vita Federico Aldrovandi, 15 anni prima a Ferrara. Quando allora, e prima di mettermi in proprio, proposi al mio direttore di testata giornalistica Rai, di fare insieme un film che ricostruisse questa tragedia mi liquidò con un: Chi vuoi che possa interessare questa piccola storia successa Ferrara? La musica e il cinema nel tempo gli hanno dato torto.
Ed infine, qui noi a Giù la Testa, parliamo quasi sempre di musica, e volevamo sapere da Lei, quali sono i suoi dischi preferiti, e che cosa ha ascoltato ultimamente.
Sono nato con la musica che allora si chiamava pop e in particolare la Premiata Forneria Marconi. Ho amato tantissimo la canzone d’autore e in particolare Claudio Lolli e Leonard Cohen. Dovessi fare due nomi Tom Waits e David Byrne. Ultimamente sono alla ricerca della musica adatta al soggetto del mio prossimo film che sto finendo di girare in questi mesi e sto ascoltando una mia vecchia passione: il compositore e pianista belga Wim Mertens.
Volevo sapere inoltre se sono previste altre proiezioni di questo super – film, e se si può trovare on-line. Grazie di cuore.
Gli anni che cantano, prodotto da Open Group e da Filandolarete, nei prossimi mesi inizierà a cantare da solo. Quest’estate sarà in alcune arene all’aperto. Il 14 agosto in piazza maggiore a Bologna in quella che viene definita la sala più bella del mondo. Parteciperà a diversi festival in Italia e spero anche oltre confine. Dall’autunno in poi Genoma Films, la società che lo distribuisce, lo porterà nei cinema.