
Dopofaber – Intervista a Francesca Dosi
Questo libro “Dopofaber, il nostro bisogno di De André”, edito dall’Associazione Battei, è un omaggio a vent’anni dalla scomparsa di Fabrizio De André, l’imprescindibile “cattivo maestro” che continua a sedurci con le sue parole. Ecco l’intervista ad una delle autrici di questo meraviglioso volume!
1. Ciao Francesca, intanto grazie mille per darci la possibilità di fare quest’intervista.
Innanzitutto il libro s’intitola Dopofaber – il nostro bisogno di De André, com’è nata l’idea di questo libro?
L’idea nasce da un’esperienza che ha visto coinvolti proprio gli autori di questo volume e che ne ha preceduto ed in parte motivato la scrittura, infatti l’11 gennaio del 2019 presso il Convitto Nazionale Maria Luigia di Parma abbiamo realizzato il progetto che porta il titolo di questo saggio: Dopofaber – il nostro bisogno di De Andrè. É stato articolato con 5 lezioni e due concerti conclusivi destinati a commemorare Fabrizio a vent’anni dalla morte.
2. Questo libro ha più autori, com’è cominciata questa collaborazione?
Proprio durante gli eventi abbiamo cercato di proporre attraverso le sue canzoni degli approcci trasversali a varie discipline che di solito si insegnano a scuola come la storia, la filosofia, le lingue straniere. Questi approcci volevano essere qualcosa di diverso rispetto all’uso strumentale che si fa della canzone talvolta a scuola quando si cerca di facilitare l’accesso a dei contenuti considerati complessi verso una forma colta di intrattenimento, tramite il culto entusiastico per questo o quell’autore. Noi non volevamo fare un’agiografia di Fabrizio De Andrè o proporre nuovamente il culto di Fabrizio, ma ci interessava capire per quale ragione ognuno di noi, partendo dal proprio bagaglio culturale, dai propri interessi, dal proprio bagaglio linguistico, dalla propria formazione, dalle proprie letture, sentisse ancora oggi molto forte la presenza di Fabrizio e la necessità di rivolgersi alle sue parole per ritrovare dei rimandi ai propri interessi che molto spesso convergono con le materie che insegnamo, Avevamo il desiderio di trasmettere ad altre generazioni che magari non hanno avuto l’occasione di vedere Fabrizio sul palco, questo dialogo intimo che ciascuno di noi ha avuto in modi differenti con l’autore.
3. Dopofaber è un saggio sull’analisi del linguaggio di De André, di che cosa abbiamo bisogno secondo te oggi del suo pensiero?
La canzone d’autore è comunque il connubio non solo di un testo ma anche di una musica e di un’interpretazione, quindi il fatto di concentrarci esclusivamente sulle parole e sui testi nasce innanzitutto dalle nostre competenze. Volevamo anche dare un taglio particolare a questo volume: indagare tutti i rimandi che vengono a formare questo straordinario tessuto di parole de andreiane che creano un mondo fatto di rimandi, personaggi, vicende che sono tutt’ora estremamente attuali. Noi oggi abbiamo bisogno dell’approccio critico di Fabrizio, mai banale e mai retorico. Un’approccio che era politico senza essere partitico, non aveva un’approccio alla Gaber ma nella sua classicità aveva una perennità già insita. Abbiamo bisogno di un approccio non convenzionale di guardare il mondo. Le canzoni di Fabrizio pur essendo colte e molto spesso non immediate e semplici sono comunque accessibili e non ermetiche, e questo permette una condivisione con il pubblico. Abbiamo bisogno di quest’analisi del mondo che diventa canzone, diventa racconto, diventa immagine, diventa quadro, diventa personaggio.
4. Come ogni artista, anche De André è la somma delle sue letture e di quello che vedeva all’epoca. Come si è evoluta nel corso degli anni la scrittura delle sue canzoni?
Si De Andrè è un uomo del suo tempo. Ha vissuto i grandi cambiamenti epocali del suo tempo, ha vissuto da studente, il ’68 francese, ha vissuto da cantautore gli anni di piombo, ha vissuto dei momenti fondamentali dell’Italia del dopoguerra. É stato un grande intellettuale perchè Fabrizio era un lettore onnivoro, ma le sue non erano letture sparse e caotiche, erano sempre estremamente feconde e guidate da un suo profondo senso interiore. Fabrizio ha cercato in altri autori, romanzieri, poeti e cantautori (Dylan, Cohen, Brassens) dei modelli in cui ritrovare la propria voce. Ha utilizzato questi testi come un bravo artigiano, i suoi libri erano ricchissimi di annotazioni, spesso utilizzava intere frasi facendo una specie di bricolage unendole con frasi proprie, ricomponendo tutti questi vari tasselli all’interno della sua opera che molto spesso era migliore dai modelli a cui si era ispirato.
5. De André era intimamente attratto da artisti francesi come Georges Brassens (suo mito assoluto, che non ha mai voluto incontrare! n.d.r.) sia per i temi delle canzoni, di grande rilevanza sociale, ma anche per la modalità interpretativa. Era riuscito ad interiorizzare una realtà fatta di cose semplici, di tutti i giorni, di rispetto per l’amore e la morte, di orrore per l’ipocrisia e la violenza. Che cosa secondo te lo ha avvicinato così tanto alla cultura francese?
De André ha sempre continuato ad evolversi. É sempre stato legato alla Francia, ai suoi autori ed alle sue passioni. All’inizio c’è questo suo “tuffarsi” nella ballata francese, dissacrante, caustica, politica ma anche legata a temi scabrosi, sessuali, destinata a scardinare tutta la morale dei benpensanti.
Questa indagine dei bassifondi, di personaggi marginali e libertari, questo mondo fatto di Eros e Thanatos, amore e morte, dei poeti maledetti (Baudelaire prima di tutto) al medioevo dei re cialtroni gli ha permesso di creare tutta la sua prima produzione. Ma anche la conoscenza del mondo anglofono (non solo letteratura inglese, ma anche quella anglo americana) e l’apertura verso la cultura del mediterraneo ed una serie interminabile di riferimenti diversificati che hanno come costante un’attenzione rivolta ad un mondo ai margini.
Anche le canzoni cambiano, all’inizio le canzoni seguono la forma della ballata e poco a poco diventano sempre più complesse anche se il linguaggio rimane semplice.
La cosa molto interessante è che De André ricava nella cultura popolare francese raccontata da Brassens , che dà dei veri e propri bozzetti di paese dove all’interno si muove un’umanità interessante, un mondo. Lui ritrova nei racconti cantati da Brassens i carruggi della sua Genova. Spesso Brassens utilizzava termini aulici o desueti nelle sue metriche inappuntabili mischiate a parole gergali e triviali. De André fa propria questa cosa ma la porterà all’estremo con la scelta successiva di quella del dialetto genovese e sardo o napoletano insieme alle sonorità del mediterraneo.
6. Era profondamente influenzato anche dalla scuola d’oltre oceano di Bob Dylan e Leonard Cohen, ed è stato tra i primi ad infrangere i “dogmi” della canzonetta italiana. Faber, secondo te, è diventato interprete stesso della cultura e della collettività anglo americana?
Carla Maria Gnappi si è occupata di tutta quella parte che riguarda il recupero da parte di Fabrizio dell’universo anglofono, che è stato conosciuto in un secondo momento riguardo in mondo francese. Carla ha studiato i testi di “Non al denaro non all’amore né al cielo” liberamente tratti dall’antologia di Spoon River (1915) di Edgar Lee Masters e studia appunto le cover di Dylan e di Cohen. Anche in questo caso De Andrè reinventa le liriche di Masters e non si limita a tradurle, infatti lui stesso diceva che non esiste traduzione letterale. Inizia così questo dialogo molto innovativo con la cultura psichedelica, mostrando come la presenza della poesia angloamericana nelle sue canzoni non si esaurisca nella pratica traduttiva, ma vada ad indagare dei luoghi letterari e degli spazi fisici (il fiume, il mare, la città) attraverso una serie di richiami intertestuali in cui convivono canti popolari ed una letteratura alta. Figure del passato e del presente che sono ricontestualizzate vengono da De André inserite nel suo mondo ideologico e del clima sociale della controcultura beat americana.
7. Il suo linguaggio poetico era spesso ironicamente dissacrante e lo utilizzava spesso per scardinare ogni convenzione. Nel suo “mirino” l’arroganza del potere, i benpensanti, e alla fine il suo messaggio era per la libertà individuale ed il riscatto da una società che troppo spesso segue le “leggi del branco”. Continua ad essere attuale questo suo tipo di linguaggio?
Nel suo mirino esattamente c’erano i benpensanti, la meschinità del potere, e come ideale primo, l’ideale libertario, insito proprio nella cultura popolare francese.
Non esisterebbe questo libro, se noi tutti non pensassimo che il suo messaggio sia di grande attualità. Le leggi del branco ahimè sono quelle che continuano a guidarci in un epoca che fa del luogo comune un pensiero. Il Dopofaber indica questo nostro bisogno di De André, un artista dissacrante in grado di scardinare una visione statica e stanziale della realtà e di farci muovere attraverso paesi, culture, controculture e soprattutto attraverso le parole.
8. Faber ripeteva spesso che in una nazione giovane come l’Italia i dialetti sono indispensabili. Che cosa ne pensi?
In questo volume c’è tutta una parte dedicata ai dialetti. Renata Pellegrino, che purtroppo è scomparsa prima di vedere l’uscita di questo libro, e a cui lo abbiamo dedicato, era una studiosa della storia dell’arte nata a Genova. Per suo diletto aveva guardato la traduzione italiana dei brani in genovese di “Crêuza de mä”. I testi di “Crêuza de mä” non sono traduzioni o adattamenti ma sono degli originali che coincidono con una scelta di vita molto significativa, cioè lasciare Genova e andarsene dalla Liguria per vivere definitivamente in Sardegna. Fabrizio sceglie di vivere della semplicità della terra e farsi contadino e da li che ritorna al passato. Ritorna ad una Genova che era quella delle sue letture, che era la Superba quando il suo mare era percorso dalle navi dei barbari fino ad una Genova settecentesca colta e tollerante. La ritrova in una visione senza tempo, che è quella dei marinai stanchi, dei braccianti del mare che sono poi gli sconfitti, i vinti di tutti i tempi, di tutte le epoche.
9. Che cosa, secondo te, è arrivato di De André alle nuove generazioni ?
Credo che sia arrivato quasi tutto perchè altrimenti non si spiegherebbe questo duraturo omaggio alternato alla reinvenzione. A più di vent’anni dalla sua scomparsa il suo canzoniere viene costantemente riproposto entro delle forme d’arte distinto dalla canzone e da stimolo a nuove creazioni. Ci sono esempi di teatro, di letturatura e di pittura che si sono ispirati a De André. La passione rivolta a Fabrizio è pervasiva, articolata, e costante: non conosce cedimenti, abbandoni e limiti di età.
10. Grazie mille Francesca, dove possiamo trovare questo meraviglioso libro?
Il libro è stato edito dall’associazione culturale Luigi Battei.
Al momento si trova solo nelle librerie di Parma, altrimenti si può inviare una mail all’associazione stessa.