
ITHELL COLQUHOUN
Questo mese voglio parlare di un’artista Inglese che mi piace particolarmente, che in parte dei suoi lavori ha ritratto e studiato il posto dove vivo.
Ithell Colquhoun (pronunciato Aithell ColHun) è nata in India agli inizi del ‘900, da una famiglia inglese, poi trasferita in UK quando lei era ancora piccola. Era una famiglia benestante, che le permetteva di crescere libera ed avere possibilità che magari altre non avevano, tipo viaggiare e studiare. Un’artista prolifica, si occupava di pittura e arti visive, scrittura, poesia, psico-geografia e soprattutto occultismo, ambito in cui era una delle rappresentanti più creative. Per lei tutto quello che faceva era connesso, tutto era in funzione dell’arte e dell’occulto; vedeva il mondo attraverso queste due lenti e questa connessione, mentre esplorava linguaggi diversi per esprimere le filosofie e varie correnti a cui si dedicava.
Dopo aver studiato in prestigiose scuole d’arte, all’inizio degli anni 30 se ne andò a viaggiare in giro per l’Europa, abitando per anni qua e là, per circa 10 anni – ha avuto studi a Roma, Parigi, in Grecia ed in Spagna – sempre conoscendo e lasciandosi ispirare da vari artisti contemporanei. Erano gli anni 30, inizi 40, e Ithell si avvicinò al surrealismo, che lei vedeva non solo in chiave psicanalitica come lavoro nato dall’inconscio, ma anche spirituale. Mentre altr* artist* surrealisti consideravano espressioni dell’inconscio attraverso per esempio i sogni, lei sentiva l’ispirazione arrivare da qualcosa che va oltre la sfera psicologica, oltre la dimensione umana. Iniziata in una varietà di discipline esoteriche, e perenne studiosa delle relative filosofie, vari rituali che includevano simbologie archetipiche erano parte integrante delle sue attività creative; esercizi come il viaggio astrale, o concetti derivanti per esempio da alchimia, o dalla Kabbalah, che poi metteva in atto a livello creativo con tecniche come l’automatismo, metodo tipicamente surrealista (su cui fra l’altro ha scritto due testi). Per lei fondamentalmente, la creatività era in funzione di questa costante ricerca di un oltre. Avendo vissuto sin da piccola in un mix di culture, attraverso i suoi lavori cercava anche le sue radici, in qualche modo.
Era affascinata dalla cultura e radici celtiche – che comunque non aveva del tutto chiare. Cercava una connessione con il territorio attraverso tradizioni celtiche, e la cercava in questo angolo del pianeta, la Cornovaglia (dove sto io); un posto in cui il paesaggio – e l’ho già detto, lo so – ha un qualcosa di strano (e ovviamente se si guarda bene, ogni paesaggio ce l’ha e comunica qualcosa di diverso, a seconda). Forse è il fatto che una certa cultura ancestrale parli ancora attraverso monumenti preistorici, e di monoliti ce ne sono dappertutto, e sono chiari segni lasciati da umani di un tempo talmente lontano che non ti immagini neanche; la percezione di quel tempo nell’immaginario si congiunge con la percezione della natura. L’essere umano parte integrante del paesaggio naturale, come non lo conosciamo proprio, visto che nella società attuale la natura è vista come qualcosa di separato da noi.
Ithell negli anni 40/50 lavorava tra Londra e la Cornovaglia, poi a fine anni 50 si trasferì direttamente, in un paesino chiamato Paul, all’epoca uno dei fulcri della comunità artistica della zona. I circoli a cui apparteneva, il surrealismo da una parte, e i gruppi occultisti dall’altra, le stavano un po’ stretti, così se ne andò un po’ da tutti, e si immerse nella cultura e appunto nella natura e tradizione spirituale del luogo. Scriveva libri, trattati, poesie, e dipingeva il territorio, sempre attraverso occhi di chi trascendeva la realtà tangibile.
Oltretutto, conoscendo i posti che dipingeva, credo di percepire ancora meglio le sensazioni che voleva trasmettere. Era come se estrapolasse forme e concetti dai territori, dagli elementi, dalle stagioni, e da altre dimensioni. Spesso figure anatomiche di natura sessuale, anche se apparentemente astratte – per lei non lo erano, perché per lei avevano un senso reale.
In generale poi la maggior parte dei suoi lavori nelle arti visive, aveva una forte connotazione sessuale, principalmente dal punto di vista femminile. Era libera anche nella sua sessualità ed esplorava la fluidità dell’identità di genere in tutto quello che faceva e nelle relazioni. Una sua biografa la definisce appunto un’artista “ufficiosamente queer”.
Molto avanti per l’epoca sotto questo punto di vista, sempre possibile magari per via dello status privilegiato, ma anche dello studio e della sua dedizione per questa ricerca personale; ricerca dell’essenza e dell’esperienza in sé, senza barriere, restrizioni o etichette. Attingendo anche alla cultura indiana, a cui era in qualche modo connessa, essendoci anche solo nata, si isprava a concetti tantrici, ma anche a pratiche magico-sessuali, e cercava di esprimere visivamente la sacralità nel tabù e nel blasfemo, producendo arte che appunto spesso non veniva considerata. Parte dei suoi lavori infatti non è mai stata esposta, perché troppo esplicita.


Era molto prolifica ed ha lavorato fino a tarda età. A 71 anni ha per esempio creato un suo mazzo di tarocchi, totalmente astratti, non come strumento divinatorio ma di riflessione, di meditazione. Ispirata dai tarocchi dell’ordine ermetico della Golden Dawn, aveva praticamente elaborato ogni carta estrapolandone il significato e come lei lo percepiva, togliendo poi totalmente la parte figurativa, ed esprimendolo con la sola forza dei colori, attraverso macchie astratte – scrivendo anche un trattato su tutto il processo, allegato per contestualizzare.
La sua arte per lei era frutto di una specie di divinazione di tutto quello che le stava attorno, che sognava, pensava, studiava e canalizzava; e tutto era connesso e filtrato da concetti esoterici e simbologie archetipiche. Nel contesto inglese la sua figura sta avendo un po’ un revival, in quanto non era mai stata considerata molto prima degli ultimi anni. È stata ed è comunque di grande ispirazione per molt* artist* sia a livello locale che nazionale, creando appunto un’apertura fra la scrittura, arte e la spiritualità.

Tracklist, taaaac, di canzoni che ovviamente mi vengono in mente mentre scrivo, o guardo i suoi lavori. A caso.