Robe da mondi paralleli

Volevo parlare della voglia di scappare, un po’ anche per contestualizzare.
Abitare in culo al mondo ti fa pensare a quanto distante in realtà tu sia da tutto; ai pro e i contro.
È bello perché sei in un mondo diverso, meno gente attorno, vita un po’ più tranquilla; ma dall’altro …è tutto lontano quando ti serve, tipo la civiltà che a volte ci vuole. Cioè, la voglia di isolarti in primo luogo, è comunque spesso voglia di stare lontano dalla gente, ma a volte si può anche scappare per stare con la gente; magari trovi gente che come te, contenta di non avere una meta precisa, ma senza rinnegare la loro provenienza. Ci sono mille motivi per andare via: a volte si scappa da noi stessi, o da una vita che ha bisogno di una boccata d’aria; magari anche per motivi politici, oppure, come me, ci si lascia trasportare dal fiume degli eventi, così un po’ alla cazzo. Ci si allontana saltellando, o altre volte correndo veloce. Questo dove sono è un luogo simbolico per chi scappa: la linea del treno finisce, finisce la terra ad un certo punto, e questa penisola stretta, allungandosi nel mare, sembra quasi voglia anch’essa scappare dal resto del Regno Unito. A Land’s End (la Fine della Terra, come la chiamano) c’è solo la vastità del mare, tutto attorno. Chi vuole ricominciare, chi si vuole allontanare, tipicamente e un po’ simbolicamente viene qua (ed immagino anche da altre parti estreme dell’isola britannica, o di altri posti), per andare lontano, cambiare aria… e l’aria la cambia eccome, c’è un tale vento che fa crescere le piante storte, da tanto le martella.

e l’aria la cambia eccome, c’è un tale vento che fa crescere le piante storte, da tanto le martella.

C’è una luce particolare, in certi posti e certe giornate, quando il sole ha una certa angolatura, che è surreale e difficile da spiegare, magari ne parlerò più avanti; è come una trasparenza strana, l’aria è così limpida. Anche per questo, è meta di artisti, un sacco di pittori, scultori, fotografi, ma anche scrittori, ovviamente, tutti ad inseguire la luce e lasciarsi ispirare dall’atmosfera strana; non a caso è sede di una delle quattro Tate galleries (di cui due a Londra). Negli anni 60 c’erano qui attorno alcune comuni dove, giustamente, l’arte e la musica erano l’attività principale. Oggi non credo ce ne siano, ma sono rimaste molte persone che ci abitavano, e lo spettro della cooperazione, della convivenza, del mutuo aiuto, ed un certo grado di libertà in qualche modo rimane, per chi lo vuol vedere e vivere. E l’arte, la musica, sono dappertutto. La scena indipendente musicale ed artistica in generale pullula, proprio perché è depolarizzata dai centri grossi – dalle città. Alla fine comunque, non ci si sposta solo fisicamente, il cambiamento è una cosa continua, per tutti, chi più chi meno. Personalmente faccio sempre paralleli con la musica: e fare musica, per esempio, è scappare… scappare e forse non arrivare mai, un po’ come rincorrere un’illusione. È un viaggio, dentro sé stessi prima di tutto, ma anche dentro un immaginario fatto di sogni, di visioni. Talvolta visioni di luoghi lontani, veri, inventati… poco importa. Anche ad ascoltarle, certe canzoni o musiche, è vivere un sogno temporaneo – il ritmo, le melodie, tutto dipinge una storia dentro di te. Nel tuo immaginario le storie dell’autore diventano tue, rievocano ricordi che sono solo tuoi, e la visione che hai tu, non ce l’ha nessuno. La musica credo sia sempre introspettiva, anche se per esempio, e per eccellenza, la musica psichedelica credo tocchi più precisamente questi tasti e con combinazioni acustiche, riverberi, ed echi vari, ti trasporti da qualche altra parte, ovunque tu voglia andare (e debba andare, direi), incluso nello spazio, quello fisico, e quello immaginario.

mariano peccinetti stripey
Psychedelic boat - Mariano Peccinetti
mariano peccinetti gambe
Su pureza y el reflejo - Mariano Peccinetti

Alcune musiche evocano proprio il movimento in senso fisico: se penso al connubio hot-rod e surf per esempio, o a tutti i milioni di canzoni sulle macchine, e le motociclette, spesso imitando o proprio includendo anche il suono del motore. Oppure le trucking songs americane; ce ne sono a valanghe proprio (è un fenomeno anche da altre parti, ma principalmente negli Stati Uniti). Ci vorrebbe un articolo a parte su ognuna di ste categorie! E ci si immedesima inevitabilmente; come quando si corre in autostrada, con gli assoli di chitarra lunghi (ok, parlo per me), o comunque con canzoni appositamente scelte per guidare, e meglio ancora guidare in spazi aperti e magari desolati.
Le canzoni per la macchina – o quelle per il treno o i trasporti pubblici. Le canzoni sui treni erano più in voga in tempi andati, soprattutto ad inizio secolo (scorso) fino agli anni 50, ma anche dopo; allora i treni significavano la libertà, di poter scappare, andare via. Ora un po’ meno, ma da qualche parte quel sentimento c’è. Quello che ascolti mentre ti sposti determina in qualche modo l’esperienza, e ogni volta che poi l’ascolti ti catapulta in posti precisi, scritti nella memoria. Bo, ha qualcosa a che fare con la libertà anche quello? Ma non siamo liberi anche da fermi? Magari in movimento lo si è di più? Più in generale, quest’espressione di frammenti d’inconscio, personale e collettivo, ti trasporta temporaneamente da qualche parte. Io poi che scappo, perché la vita è movimento, capisco che in realtà ho radici profonde dovunque vada, fatte anche dalle mie visioni e i miei riferimenti culturali; è questo, credo, che ti fa anche sentire a casa dappertutto, e ti fa vedere la corsa verso l’altrove, non come una meta, ma come un gioco.

East Bound and Down Jerry Reed