senza patria

Eccomi ancora una volta alle prese con racconti vetusti che cozzano con l’attualità dei nostri giorni. Ci sono di quelle volte che mi sveglio al mattino, apro la finestra, getto lo sguardo su quell’accozzaglia chiamata mondo e mi dico “L’attualità  deve morire!”. O almeno dovrebbe, rifletto subito dopo in un barlume di pragmatismo. Chissà cosa mi è passato per la testa quel giorno in cui mi sono lasciato alle spalle le contro-culture “giovanili” per inseguire tradizioni che si perdono nella notte dei tempi. Sarò diventato vecchio o forse è solo un no future a modo mio. Costretto a sproloquiare. 

Ora dopo il mio classico preambolo pedante in cui tento malamente di prendere tempo e, sopratutto guadagnare paragrafi, introduco il libro di cui voglio parlare in questa “puntata”. 
Si tratta in realtà di una trilogia, un volume che racchiude una storia che è nata, ha fatto i suoi primi passi e poi è maturata in tre romanzi: “Senza Patria” di Matteo Righetto. 
Apprezzai molto Righetto anni fa con il suo romanzo “La pelle dell’Orso”, portato anche in una riuscita trasposizione cinematografica con Marco Paolini.

Lo ritrovo personalmente in questa trilogia (L’anima della Frontiera, L’ultima Patria e La Terra Promessa) in cui si racconta l’epopea di poveri diavoli della pedemontana veneta. Sono romanzi d’avventura in cui il pericolo principale è la crudezza della vita che gli ultimi devono quotidianamente affrontare. La faccenda si complica quando l’esistenza non si limita ad essere cruda ma diventa crudele. L’ambiente in cui si dipana la storia è una fantomatica contrada nella Val Brenta, Nevada, adagiata in costa sul versante orografico destro del fiume. Leggendo i riferimenti che emergono  ho dedotto che il luogo creato da Righetto dovrebbe essere in prossimità  del paese di Valstagna. Il fiume solca la valle stretto dalle severe pareti del massiccio del Grappa da una parte e da quelle dell’Altopiano dei Sette Comuni dall’altra. Una valle non facile da vivere da sempre, un fiume che è una risorsa ma anche un’insidia. Basta pensare alle disastrose “brentane” che fin dai tempi antichi colpivano i paesi delle valle: le ricorrenti alluvioni che potevano distruggere in pochi attimi vite, proprietà e attività.


La protagonista indiscussa della saga è Jole,  una giovane ragazza che con la sua famiglia, i De Boer,  vive in questa contrada fuori dal mondo attorno alla fine dell’Ottocento. Si vive o meglio si sopravvive coltivando tabacco sugli irti terrazzamenti strappati alla montagna  fin su a 400-500 metri, quasi dei mondi sospesi. Montanari che piegano la schiena ogni giorno per strappare un magro guadagno,  il grosso delle loro fatiche va invece a finire nelle casse della Regia dei Tabacchi, ai coltivatori restano le briciole. Ecco che così per necessità si diventa contrabbandieri per riuscire a mettere  insieme il pranzo con la cena. Si nasconde parte del raccolto agli ispettori, lo si carica a spalle o dorso di mulo, si varca il confine tra Regno d’Italia e Impero, ci si inerpica su sentieri ripidissimi, si rischia l’arresto, la vita.  S’infrange la legge per non morire di fame come dei cani. Ai giorni nostri troverete ben poco di questo mondo se vi capita di salire sui sentieri che fanno da corollario alla Val Brenta, i terrazzamenti sono scomparsi e avvolti dal bosco, solo un occhio attento ne ritrova i segni ed il tabacco, la sua gente e quelle antiche fatiche sono solo un ricordo. Le fatiche sono sparite solamente perché la gente è sparita, è andata, è emigrata, Le contrade in costa sono vuote, solo il fondovalle boccheggia ancora ai giorni nostri.
Ma ritorniamo  alla nostra eroina, Jole  viene iniziata giovanissima al duro lavori dei campi e anche al contrabbando, prima con il padre poi da sola. Righetto racconta questi viaggi oltre la Frontiera in un sorta di epica lotta degli oppressi contro l’ineluttabile sopraffazione dei padroni del mondo. In tutto questo s’innestano un contesto di violenze e di lerce figure che vivono di espedienti, Jole impara bene presto ad averne a che fare e dimostra subito un’animo combattivo.  E’ una Frontiera che fa sentire il suo stesso alito con il freddo e impetuoso vento che scende dalla montagne ad accompagnare Jole nel suo peregrinare. La protagonista capisce anche ben presto  che le vere frontiere non sono i crinali delle montagne ma quelle, appunto, che dividono i miserabili dai potenti. Ed impara  cos’è il dolore e la voglia di rivalsa e di vendetta, l’autore costruisce attorno a questi sentimenti una sorta di western pedemontano ( passatemelo) davvero efficace e che incolla il lettore alla storia pagina dopo pagina. La terza parte della saga vede Jole ed il fratello partire verso il Nuovo Mondo in cerca di fortuna e con il desiderio di lasciarsi alle spalle le violente vicende di cui lei si è in parte macchiata. Quest’ultima sezione ha il merito di dare risalto alle terribile condizioni dei migranti che si cimentavano in questa sorta di viaggio infernale ed alla feroce nostalgia che sorgeva negli stessi avendo abbandonato la patria. Ma personalmente non l’ho trovato all’altezza degli altri due episodi precedenti , ha perso parecchio di quel climax  che ti teneva incollato alla vicenda.

Mentre finisco di scrivere queste righe risuona una vecchia di canzone di Garbo che sembra raccogliere le sensazioni di una Frontiera spesso parecchio complicata.

Guarderemo le distese alla frontiera, 
Renderemo tutti i cuori all’Universo, 
Ci fermeremo qui, qui….. 

Porteremo poco Sole insieme a noi, 
Saremo come Vento forse, 
Potremo in un istante sorvolare, 
L’ombra di una vita che ci fa…. 

Noi, 
Padri del Silenzio siamo polvere, 
E il vento ci disperderà, Noi, 
Nei giorni silenziosi siamo Nuvole,

Le Nuvole non hanno mai paura, 
Le Nuvole non hanno mai paura, 
Le Nuvole non hanno mai paura!!!