CineramaIntervisteThis Film Should Not Exist di Luca “Il Metius” Mattioli
Giù la testa

This Film Should Not Exist di Luca “Il Metius” Mattioli

Quando il blues sedusse il punk: un documentario sui Country Teasers. Particella impazzita in quella formidabile macchina da rock and roll che è la Crypt Records, i Country Teaser sono un’improbabile sintesi tra post-punk e country and western, accoppiamento contronatura tra i Fall e Hank Williams caratterizzato da un lirismo abrasivo a elevato tasso di black humor. Sono loro i protagonisti di “This Film Should Not Exist”, il documentario che Massimo Scocca, Giz Albertini e Nicolas Drolc hanno da poco realizzato e che verrà presto presentato in alcuni tra i più importanti festival cinematografici indipendenti in ogni angolo del mondo.

Massimo Scocca è oggi il chitarrista dei LAME, una delle più interessanti band alt-rock italiane (sempre che questa definizione voglia significare qualche cosa). La nostra amicizia nacque però molto tempo fa dopo l’esibizione dei suoi Cave Dogs, durante una delle prime edizioni del Festival Beat. Ad impressionarmi furono la maleducata irruenza sonora della sua chitarra e, confesso, la sua innegabile somiglianza con Jeff Goldblum. Da allora le nostre strade si sono più volte incrociate, ritrovandoci spesso a calpestarci a vicenda le Converse sotto i peggiori palchi del Nord Italia, davanti a band come New Bomb Turks, Devil Dogs, Men Or Astromen?, Oblivians… insomma, tutte le band che contavano veramente.

Oblivians

Oblivians

Quattro anni fa mi chiamò per chiedermi se mi avrebbe incontrato alla Loggia Del Leopardo al concerto di Jack Oblivian e i suoi Teeneesee Jerks. Mi confidò che a lui e a Giz – sua compagna/complice di sempre – sarebbe piaciuto avere del tempo prima dello show per potere realizzare una video-intervista a Jack, da inserire in un documentario che stavano realizzando sulla scena rock and roll underground degli anni Novanta. Un’idea molto ambiziosa. Forse troppo.

Ben Wallers

Ben Wallers

Oggi quel progetto ha visto finalmente la luce, seppure ridimensionato nei suoi obbiettivi: “This Film Should Not Exist” si è trasformato durante la sua lavorazione in una sorta di biografia dei Country Teasers e del loro leader, Ben Wallers, capace però di riflettere, attraverso le numerose testimonianze dei musicisti che condivisero la scena con loro, anche la storia di un’epoca scellerata, eccitante, libera e irripetibile.

Approfittiamo dell’occasione per parlare con Massimo, oltre che del film, anche del suo lungo e interessante cammino musicale, sulla musica di ieri e di oggi e sulla componente più importante nel rock and roll: l’attitudine.

Hai voglia di raccontarci la tua storia musicale?

Ho iniziato nel 1990 con i Cave Dogs, dopo aver visto i Gories dal vivo. Eravamo senza basso, allora una rarità, e facevamo roba che andava dai Cramps ai Mighty Caesars fino agli Angry Samoans. Due ragazzi due ragazze. Batteria minimale, un organo vox e una chitarra: incompetenza tecnica, tante birre e rock’n’roll. Il bello dei vent’anni. Con i Two Bo’s Maniacs abbiamo ulteriormente esasperato l’aspetto di totale essenzialità e crudezza. Una batteria con due fusti e una chitarra sgangherata. Dischi incisi negli scantinati con registratori a cassette. Un ragazzo e una ragazza, prima che la formula fosse replicata con molto maggior successo da quei leccatini dei White Stripes! I Most Unusual Sound sono stati uno strano ibrido, non del tutto riuscito, preludio al mio eclissarmi per un lungo periodo.

Cave Dogs

Cave Dogs

Poi arrivarono i LAME…

Un po’ per caso un po’ per non so cosa, nel 2014 ripresi a suonare con i LAME: sempre in forma minimale, 2 chitarre ed 1 batteria, due ragazzi – beh, ragazzo…- e una ragazza. Con maggiore consapevolezza, non solo dovuta alla mia età, ma anche perché suonavo con persone che dedicano tanto alla musica. Finora tre dischi all’attivo e un sacco di tour. Wow!

Ci sono band – del passato e contemporanee – che ti hanno ispirato in modo particolare durante le varie fasi del tuo percorso?

Sono davvero troppe e non mi sento di fare un elenco. Negli anni 80 da adolescente ascoltavo scompostamente quello che usciva nel cosiddetto underground. Tanta roba figa, anche se io amavo sopra ogni cosa quello che attingeva ispirazione dai Sixties.

Quindi se mi chiedi cosa mi abbia influenzato maggiormente musicalmente… beh è stata la scoperta dell’attitudine

Non è solo una questione di suono, immagino.

C’è voluto qualche anno per realizzare che per me la musica non era solo note e stili musicali, ma era soprattutto attitudine. Quindi se mi chiedi cosa mi abbia influenzato maggiormente musicalmente… beh è stata la scoperta dell’attitudine. E se proprio devo indicare qualcosa che possa riassumere questo concetto, direi che le band senz’arte né parte presenti sulla compilation “Back From The Grave” rappresentano il mio modello.

Com’è cambiato il modo di intendere il rock and roll più marginale dagli anni Ottanta a oggi?

Per come la vedo oggi, gli anni Ottanta sono stati un’epoca musicalmente ricchissima, con un sacco di band che hanno influenzato la decade successiva. Penso ai Gun Club o ai Poison 13 e a quello che poi è stato definito il “blues punk”. O l’influenza dei Fall su tante cose che escono ancora oggi. Poi l’hardcore, il noise, l’hip hop, l’elettronica. C’era tutto questo fermento d’idee e anche di più in giro; rispetto alla fiamma da caminetto degli anni zero, si trattava di una vera e propria esplosione nucleare. Questa è la mia lettura da vecchio scorreggione, ovviamente.

C’era tutto questo fermento d’idee e anche di più in giro; rispetto alla fiamma da caminetto degli anni zero, si trattava di una vera e propria esplosione nucleare. Questa è la mia lettura da vecchio scorreggione, ovviamente.

Anche la cultura underground si è nel frattempo evoluta.

L’underground era soprattutto incazzatura ed emarginazione, ma anche l’orgoglio di appartenere a una minoranza consapevole. Gli anni Novanta hanno rotto gli steccati tra le differenti sottoculture – cosa per me positiva – anche se questa cosa, negli anni successivi, ha causato un conseguente smarrimento identitario, per altro coerente col tipo di società parcellizzata che si stava delineando. L’inizio del nuovo millennio ha visto l’universo underground perdere ulteriormente di senso, in una cultura ormai dominata dalla totale mercificazione di ogni aspetto della vita e dalla globalizzazione culturale sostenuta dalle nuove tecnologie, che ha totalmente stravolto qualunque paradigma.

L’underground era soprattutto incazzatura ed emarginazione, ma anche l’orgoglio di appartenere a una minoranza consapevole.

David Edwards Datblygu

David Edwards Datblygu

Come vedi la situazione oggi?

Mi sembra che ogni cosa sia diventata allo stesso tempo marginale e mainstream. Senti un pezzo di Jon Spencer in una pubblicità della Volkswagen, o i Dirtbombs in una di Walmart e non ti scomponi. Non c’è quasi più sorpresa. Una trentina di anni fa non era semplicemente possibile accadesse. Che sia un bene o un male non saprei: in fondo non me ne frega nulla.

Come è nata l’idea del documentario “This Film Should Not Exist”?

Io e Giz negli anni 90 giravamo l’Europa e l’America per vedere le band che ci piacevano, principalmente gente che incideva per Crypt e In the Red, per capirci. E ogni tanto ci portavamo una videocamera analogica. Quelle cassette video sono rimaste in uno scatolone per vent’anni a prendere polvere. Ad un certo punto abbiamo pensato che sarebbe stata una buona idea recuperare quel materiale d’archivio e provare a dargli un senso, integrando le immagini degli show con nuove interviste ai protagonisti di allora. Un’idea semplice che però si è scontrata presto con l’eterogeneità e la vastità del progetto, dal fatto che non avessimo mai fatto un film in vita nostra e neanche avessimo tutti i soldi per produrlo.

Come siete usciti dalla situazione di stallo?

Mentre cercavamo di trovare il bandolo della matassa, leggemmo un’intervista in cui Billy Childish ricordava il primo periodo con i Milkshakes. In realtà non diceva nulla di stravolgente, ma per noi fu un po’ come trovare l’indizio a cui non avevamo pensato. Billy diceva che la cosa migliore da fare era appunto… fare! Cioè iniziare a realizzare qualcosa e poi iniziare un altro progetto e così via, finanziandosi con quello che mano a mano si riesce a recuperare. Così ci dicemmo: “lasciamo stare il grande progetto, l’opera definitiva e i vari propositi caratterizzati da un’idea di grandiosità, e dedichiamoci a tante singole storie che, viste assieme, formeranno poi un’idea complessiva del periodo”. E così abbiamo fatto, iniziando dalla prima volta che ci portammo dietro la videocamera, nel 1995, durante il tour europeo di Oblivians e Country Teasers. Il documentario è centrato principalmente sulla figura di Ben Wallers, il leader dei Country Teasers; racconta l’esperienza di quel tour, le dinamiche tra di loro, lo sfasciarsi con alcol e droghe, le loro scelte di vita, il modo di comporre, cosa fa Ben ora e tanto altro. È un film che ha comportato un lavoro e una dedizione enorme, ma alla fine il risultato è davvero gratificante.

Ben Wallers

Ben Wallers

Country Teasers

Country Teasers

Come sono nate le amicizie che hanno contribuito alla sua realizzazione?

Nel titolo c’è in parte la risposta a questa domanda. Uno dei motivi per cui il documentario si chiama così è dovuto al fatto che il caso ha determinato molte delle circostanze dell’intera storia, tra le quali l’aver incontrato Nicolas Drolc, il regista, durante uno dei miei tour con i LAME in Francia. Con Giz scoprimmo ben presto che, seppur molto più giovane di noi, Nicolas aveva l’esperienza e le conoscenze tecniche che a noi mancavano, ma anche la stessa nostra attitudine, senza la quale tutto il resto semplicemente non avrebbe funzionato. Così abbiamo iniziato a lavorare assieme, che vuol dire soprattutto metterci dentro un sacco di tempo e di impegno. Giz e Nicolas hanno lavorato molto più di me, a essere sinceri. Ma, in definitiva, è il film collettivo di tre persone e credo che, oltre a rappresentare i protagonisti, parli anche di noi.

Come è stato accolto dal pubblico?

Sempre il caso ha voluto che la première mondiale programmata per aprile a Pau, coincidesse con l’inizio del lockdown. Quindi è saltata e fisicamente il film, nelle sale, ancora non c’è. Coloro che hanno contribuito al crowdfunding della scorsa estate per finanziare il nostro progetto hanno già visto l’anteprima. Siamo già stati selezionati in alcuni importanti festival come Calgary Underground Film Festival, Melbourne Documentary Film Festival ed altri in UK, Francia, Stati Uniti che annunceremo man mano. Siamo gasatissimi!

Quando potremo vederlo?

Nei festival e in proiezioni in giro per il mondo. Ovunque sia possibile organizzarlo, lo proietteremo. Tutto molto molto presto.